Il Combattimento di Tancredi e Clorinda (1624)

Il Combattimento di Tancredi e Clorinda (1624)

2016-11-23    04'37''

主播: 树莓布丁

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介绍:
Testo: tratto dal GERUSALEMME LIBERATA di Torquato Tasso Canto XII, 52-62, 64-68 Tancredi che Clorinda un uomo stima vuol ne l'armi provarla al paragone. Va girando colei l'alpestre cima ver altra porta, ove d'entrar dispone. Segue egli impetuoso, onde assai prima che giunga, in guisa avvien che d'armi suone ch'ella si volge e grida: - O tu, che porte, correndo sì? - Rispose: - E guerra e morte. - Guerra e morte avrai: - disse - io non rifiuto darlati, se la cerchi e fermo attende. - Ne vuol Tancredi, ch'ebbe a piè veduto il suo nemico, usar cavallo, e scende. E impugna l'un e l'altro il ferro acuto, ed aguzza l'orgoglio e l'ira accende; e vansi incontro a passi tardi e lenti quai due tori gelosi e d'ira ardenti. Notte, che nel profondo oscuro seno chiudesti e nell'oblio fatto sì grande, degne d'un chiaro sol, degne d'un pieno teatro, opre sarian sì memorande. Piacciati ch'indi il tragga e'n bel sereno a le future età lo spieghi e mande. Viva la fama lor, e tra lor gloria splenda dal fosco tuo l'alta memoria. Non schivar, non parar, non pur ritrarsi voglion costor, ne qui destrezza ha parte. Non danno i colpi or finti, or pieni, or scarsi: toglie l'ombra e'l furor l'uso de l'arte. Odi le spade orribilmente urtarsi a mezzo il ferro; e'l piè d'orma non parte: sempre il piè fermo e la man sempre in moto, né scende taglio in van, ne punta a voto. L'onta irrita lo sdegno a la vendetta, e la vendetta poi l'onta rinova: onde sempre al ferir, sempre a la fretta stimol novo s'aggiunge e piaga nova. D'or in or più si mesce e più ristretta si fa la pugna, e spada oprar non giova: dansi con pomi, e infelloniti e crudi cozzan con gli elmi insieme e con gli scudi. Tre volte il cavalier la donna stringe con le robuste braccia, e altrettante poi da quei nodi tenaci ella si scinge, nodi di fier nemico e non d'amante. Tornano al ferro, e l'un e l'altro il tinge di molto sangue: e stanco e anelante e questi e quegli al fin pur si ritira, e dopo lungo faticar respira. L'un l'altro guarda, e del suo corpo essangue su'l pomo de la spada appoggia il peso. Già de l'ultima stella il raggio langue sul primo albor ch'è in oriente acceso. Vede Tancredi in maggior copia il sangue del suo nemico e se non tanto offeso, ne gode e in superbisce. Oh nostra folle mente ch'ogn'aura di fortuna estolle! Misero, di che godi? Oh quanto mesti siano i trionfi e infelice il vanto! Gli occhi tuoi pagheran (s'in vita resti) di quel sangue ogni stilla un mar di pianto. Così tacendo e rimirando, questi sanguinosi guerrier cessaro alquanto. Ruppe il silenzio al fin Tancredi e disse, perchè il suo nome l'un l'altro scoprisse: - Nostra sventura è ben che qui s'impieghi tanto valor, dove silenzio il copra. Ma poi che sorte rea vien che ci nieghi e lode e testimon degni de l'opra, pregoti (se fra l'armi han loco i preghi) che'l tuo nome e'l tuo stato a me tu scopra, acciò ch'io sappia, o vinto o vincitore, chi la mia morte o vittoria onore. - Rispose la feroce: - Indarno chiedi quel c'ho per uso di non far palese. Ma chiunque io mi sia, tu innanzi vedi un di quei due che la gran torre accese. - Arse di sdegno a quel parlar Tancredi e: - In mal punto il dicesti; (indi riprese) e'l tuo dir e'l tacer di par m'alletta, barbaro discortese, a la vendetta. Torna l'ira ne' cori e li trasporta, benchè deboli, in guerra a fiera pugna! Ù'l'arte in bando, ù'già la forza è morta, ove, in vece, d'entrambi il furor pugna! O che sanguigna e spaziosa porta fa l'una e l'altra spada, ovunque giugna ne l'armi e ne le carni! e se la vita non esce, sdegno tienla al petto unita. Ma ecco omai l'ora fatal è giunta che'l viver di Clorinda al suo fin deve. Spinge egli il ferro nel bel sen di punta che vi s'immerge e'l sangue avido beve; e la veste che d'or vago trapunta le mammelle stringea tenere e lieve, l'empiè d'un caldo fiume. Ella già sente morirsi, e'l piè le manca egro e languente. Segue egli la vittoria, e la trafitta vergine minacciando incalza e preme. Ella, mentre cadea, la voce afflitta movendo, disse le parole estreme: parole ch'a lei novo spirto addita, spirto di fè, di carità, di speme, virtù che Dio le infonde, e se rubella in vita fu, la vuole in morte ancella. - Amico, hai vinto: io ti perdon... perdona tu ancora, al corpo no, che nulla pave, a l'alma sì: deh! per lei prega, e dona battesmo a me ch'ogni mia colpa lave. - In queste voci languide risuona un non so che di flebile e soave ch'al cor gli scende ed ogni sdegno ammorza, e gli occhi a lagrimar invoglia e sforza. Poco quindi lontan nel sen d'un monte scaturia mormorando un picciol rio. Egli v'accorse e l'elmo empiè nel fonte, e tornò mesto al grande ufficio e pio. Tremar sentì la man, mentre la fronte non conosciuta ancor sciolse e scoprio. La vide e la conobbe: e restò senza e voce e moto. Ahi vista! ahi conoscenza! Non morì già, ché sue virtuti accolse tutte in quel punto e in guardia al cor le mise, e premendo il suo affanno a dar si volse vita con l'acqua a chi col ferro uccise. Mentre egli il suon de' sacri detti sciolse, colei di gioia trasmutossi, e rise: e in atto di morir lieta e vivace dir parea: "S'apre il ciel: io vado in pace".